Non viene automatico pensare ad un forte senso di identità personale come antidoto alla complessità e all’interferenza in cui siamo immersi. Vale la pena però. Intanto perché le sollecitazioni esterne che fanno appello a “chi vogliamo essere” sono tante, a partire dalle campagne pubblicitarie che seducono con modelli attraenti quanto irraggiungibili fino ai nostri molteplici ruoli nel quotidiano, da colleghi, capi, figli, genitori, amici. Ci sono tanti appelli che alla nostra identità e cercare di soddisfarli tutti è uno dei fattori che fa parlare tanto di work life balance e di gestione dello stress.
Un forte antidoto all’incertezza e all”’usura” generate da tanti appelli che giungono da fonti esterne consiste nello sviluppo di un forte baricentro interiore. Avere consapevolezza della propria identità contribuisce ad irrobustire questo centro. Partire da questo senso di identità per definire uno scopo individuale, o una sorta di mission statement personale fa anche di più: un senso più sviluppato e consapevole di “chi siamo” e della “finalità ultima personale” aumenta la resilienza e indirizza il nostro sviluppo. Un forte “sense of purpose” come gli autori di un recente articolo sulla Harvard Business Review “From Purpose to Impact” ci ricordano, aumenta il nostro impatto.
Ma “come si fa” a svilupparlo? Nelle scuole e nelle università si lavora poco o niente sull’identità personale. Una volta in azienda siamo portati a lavorare sull’identità del brand, dell’azienda o del ruolo in questione. E così un po’ ci perdiamo. Quando poi dovessimo finire di fronte ad un Head Hunter che ci chiede “tra tutti queste persone con ruoli ed esperienze simili, perché proprio lei?”, non sappiamo rispondere e farfugliamo risposte vaghe non volendo, da un lato, fare autopromozione sfacciata e, dall’altro, non avendo una risposta convincente da offrire.
Mettere a fuoco la propria identità e cominciare a sviluppare un senso della propria “finalità ultima” o “purpose” non è affatto facile. La nostra finalità non sta, tanto per cominciare, in una determinata attività o carriera (‘essere finanziere’, ‘diventare imprenditore’, ‘arrivare nel marketing’) tant’è possiamo svolgere diverse attività sotto l’ombrello della medesima finalità. Si nasconde più nei “perché” che ci muovono (valori, passioni e interessi) e nel nostro individuale e unico “come” (un set personale di attitudini e competenze). Definire il proprio scopo nella vita resta difficile anche perché è “lì” in agguato ma di difficile individuazione proprio perché troppo dentro e “vicino a casa”: siamo troppo “dentro” le nostre storie per individuarne i fil rouge; le nostre attitudini e passioni ci sembrano così “naturali” che non li viviamo come talenti o “strengths”.
E’ utile quindi fare il lavoro in compagnia di amici o di un bravo coach per avere uno sguardo esterno, indagando:
· I nostri valori: cosa è irrinunciabile per me? Per cosa mi “batto”?
· le nostre attitudini: per quali caratteristiche/abilità/attitudini che mi vengono naturali ricevo riconoscimenti o complimenti spontanei da terzi?
· cosa ci energizza: cosa mi “prende” così piacevolmente quando mi ci dedico, che dimentico il passare del tempo? Facendo quest’attività che mi energizza come sto ‘lavorando’, mettendo quali “doti” in campo?
· approccio: c’è un mio modo di fare, un approccio che tendo ad applicare a diverse attività/lavori/progetti in modo ricorrente?
· passioni/interessi: quali sono gli argomenti/aree di interesse che mi appassionano?
· “stile di contributo preferenziale”: cosa caratterizza il mio stile di pensiero e di comunicazione? Ci sono vari modelli sul mercato per indagare in quest’area; nell’attività di coaching e formazione privilegio lo strumento “Whole Brain Dominance” di Ned Herrmann
Coach e amici possono aiutarci a trovare il “fil rouge” nelle risposte, facilitando l’emergere delle nostre caratteristiche distintive. Ci possono aiutare a distillare, poi, una sorta di “purpose statement” individuale (“sono qui al fine di……in modo…..”) incrociando ciò che è importante per noi (valori, passioni) con ciò che ci distingue (attitudini, competenze).
Una volta identificato, questo “sense of purpose” ci aiuta: chiarire i nostri “perché” o “reasons why”, facilita le scelte nel quotidiano e - dal momento in cui lo scopo ultimo è maggiormente presente – ci sincronizza con il nostro divenire. Lungo la strada poi, e dal momento che ci àncora ai nostri valori e aree di forza naturali, ci da anche più forza e resilienza.
Lo consiglio vivamente non solo ad aspiranti leader per i quali è un esercizio indispensabile ma a tutti, nel prendere le redini della propria vita e nell’aumentare la propria capacità di incidere e di influenzare.