Se si scorrono i titoli dei centinaia di articoli su tematiche come “la persuasione” e “l’influenzamento” (di cui e non a caso la maggior parte in inglese) si leggono frasi come “how to get your ideas heard”, “tips for a successful presentation”, “how to win people.
Vero è che c’è moltissimo da imparare per rendere più efficace la nostra comunicazione. A partire dall’antica Grecia e arrivando ai contributi più recenti dall’economia comportamentale, della psicologia della persuasione e delle neuroscienze, gli spunti per potenziare l’efficacia persuasiva sono interessanti e potenti e ci possono aiutare a fare sì che i nostri messaggi siano ascoltati, ricordati e messi in pratica.C’è sempre però qualcosa che mi lascia inquieta in tutto ciò. Va oltre quel fastidio provato dinanzi a chi vuole “vendere” – per forza – se stesso o un’idea (un fastidio di cui terremo conto nel lavoro su un influenzamento etico). Misi a fuoco questa “qualcosa che dà fastidio” studiando il lavoro di Roger Schwarz sul modello dell’”apprendimento reciproco”. Nel lavoro sulle “teorie-in–uso” che determinano di fatto le nostre azioni, (e che non sempre corrispondono ai principi che “raccontiamo”) Schwarz parla del modello del “controllo unilaterale”.
Questo modello è basato su assunti (generalmente taciti) come “ho ragione io, gli altri non vedono/capiscono” e porta ad una strategia di influenzamento basata su una forte capacità di proposizione (advocacy) unita a quel che Schwarz chiama “easing in” e che consiste nell’utilizzare un approccio indiretto per far sì che gli altri vedano le cose come le vediamo noi.
Ad un tratto mi sono resa conto di quel che mi dava fastidio: l’arroganza implicita in questo modello unilaterale. Mi sono chiesta:
Chi ci da il diritto di supporre che siamo noi i detentori della verità? Di costruire presentazioni e portare numeri in modo che gli altri siano quasi “costretti” a “pensarla come noi”? Quanto possano durare, nelle aziende in cui le relazioni sono a lungo termine, soluzioni basate sull’arroganza, sulla non trasparenza, proposte senza condivisione di informazioni vitali e senza considerare le esigenze altrui?
Da allora il mio approccio al tema “influenzamento” parte dal modello dell’”apprendimento reciproco” che si contrappone a quello del controllo unilaterale. Questo modello presuppone che nessuno di noi ha la verità in tasca: che l’altro agisce in base alle informazioni che ha e alle esigenze che sente. Con questo approccio la capacità di proposizione (advocacy) sulla quale i corsi sull’influenzamento generalmente si centrano, si potenzia aggiungendo quella dell’esplorazione (inquiry). Si impara non soltanto a proporre in maniera efficace ma ad esplorare il mondo dell’altro: le sue percezioni, esigenze, preoccupazioni e dubbi. Si procede non solo per supposizioni ma per domande e verifiche. Si rispetta l’altro partendo dal presupposto che l’impegno vero – quello sentito – si crea quando si coopera capendo bene perché, sentendosi rispettato e assumendosi l’ownership della decisione.
Una persuasione etica pertanto parte dal presupposto che l’apprendimento sia reciproco. Comprende e abbraccia le diverse tecniche utili per rendere i nostri ragionamenti più incisivi ma presuppone l’apertura ad apprendere a nostra volta e un profondo rispetto per l’interlocutore. A breve termine possiamo anche essere “convinti al volo”, “oggetti” di un “quick fix” ma nel lungo termine un processo fondato tanto sulla conoscenza reciproca quanto sulla capacità di argomentazione risulterà sia più etico che più produttivo.
Maggiori informazioni sul corso "Sviluppare le capacità di incidere e influenzare" il 10-11 Aprile 2014 a Milano